SOMMARIO:
- Definizione e funzione dell’istituto dell’assegnazione in uso della casa familiare e delle circostanze che ne legittimano la concessione nei procedimenti separativo/divorzili.
- La funzione della trascrizione del provvedimento provvisorio di assegnazione e dei successivi oneri di pubblicità immobiliare, e le conseguenze dell’omessa pubblicità.
- La revoca del provvedimento di assegnazione in uso della casa familiare e cenni circa il regime di pubblicità.
1. L’istituto dell’assegnazione in uso della casa familiare nasce dall’esigenza di assicurare protezione agli interessi della prole in seguito al verificarsi della crisi matrimoniale.
Nel dettaglio, chiaro l’impatto negativo che la separazione e/o il divorzio possono determinare sulla stessa prole: all’uopo, con l’art. 337 sexies c.c.2 il legislatore si assume il compito di ridurlo al minimo, richiedendo che l’assegnazione della casa familiare avvenga tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli a conservare una continuità nelle abitudini di vita.3
Il provvedimento di assegnazione in uso della casa familiare non è, ovviamente, necessario quando il genitore con cui i figli coabiteranno sia l’unico proprietario dell’immobile o il titolare esclusivo di un diritto di godimento sullo stesso.
Esso serve, per contro, a conferire al genitore affidatario dei figli minori o convivente con i figli maggiorenni non ancora economicamente autonomi4 un diritto di godimento sulla casa familiare che altrimenti non gli spetterebbe.
Circa la natura giuridica di detto diritto, può affermarsi che lo stesso viene qualificato come atipico diritto di godimento5 personale, siccome strettamente correlato alla funzione genitoriale, quindi intrasmissibile ed incedibile, non rientrante nel novero dei diritti reali; l’atipicità risiede dunque nel potere di utilizzo temporaneo della casa, riconosciuto in via diretta all’assegnatario.
Relativamente al conflitto tra l’interesse alla tutela della prole e il diritto dominicale del proprietario, l’ordinamento sceglie di fare prevalere il primo, riconoscendo nella tutela del minore e del giovane adulto non autosufficiente economicamente un obiettivo costituzionale preponderante rispetto al diritto di proprietà6.
Il proprietario, v’è da dire, non resta tuttavia completamento sguarnito di tutela; infatti, dell’assegnazione il Giudice ne tiene conto nel regolare i rapporti economici tra i genitori, sicché a questi fini viene riconosciuta rilevanza all’eventuale titolo di proprietà.
Ancora, la preferenza mostrata dal legislatore per l’interesse dei figli non si traduce nel totale svuotamento del diritto del proprietario, dovendosi al contrario circoscrivere con attenzione l’area di operatività dell’art. 337 sexies c.c.
A questi fini, il testo della detta norma non è di pregevole utilità, limitandosi a precisare le condizioni al ricorrere delle quali il diritto di godimento viene meno7.
In assenza di una disciplina normativa adeguatamente dettagliata, è rimessa quindi all’intervento dell’interprete la ricerca di un punto di equilibrio tra l’interesse della prole a restare nel luogo in cui si è costituita l’unità familiare (diventato l’habitat della prole) – tutelato ex art. 337 sexies c.c. – e il contrapposto diritto del proprietario di godere e disporre dell’immobile in modo pieno ed esclusivo.
Per affrontare la disciplina dell’assegnazione in uso della casa familiare, è preliminarmente indispensabile comprendere la portata dell’espressione “casa familiare”, di cui l’art. 337 sexies c.c., ne individua l’oggetto.
La giurisprudenza8 ha spesso riferito il concetto di casa familiare a quell’immobile che durante la convivenza rappresentava il centro di aggregazione e unificazione della famiglia9.
Nella pratica fattuale ciò si è tradotto in una presunzione che semplifica gli aspetti probatori, essendo di norma la casa familiare individuata nell’unità immobiliare in cui i coniugi hanno concordemente fissato la residenza (ai sensi degli artt. 45 e 144 c.c.).
Trattasi di una presunzione iuris tantum, che consente alla parte interessata di dimostrare la mancata corrispondenza tra il dato formale e la realtà oggettiva delle cose. In altri termini, il Giudice è tenuto a far prevalere l’oggettività sull’apparenza tutte le volte in cui emerga che la residenza formalmente fissata non corrisponde nella sostanza a quel centro di aggregazione e unificazione della famiglia di cui l’art. 337 sexies c.c., si riferisce.
Su dette basi si fondano le pronunce con le quali si è progressivamente escluso che all’interno della nozione di casa familiare possano trovare cittadinanza l’abitazione frequentata saltuariamente e quella stagionale10, nonché la residenza che al momento della crisi matrimoniale ancora non rappresenta un punto di riferimento per la famiglia11.
In questi casi, d’altra parte, viene meno la ratio12 che sostiene la disciplina di cui all’art. 337 sexies c.c., non potendosi affermare l’esistenza di un rilevante interesse della prole a risiedere nell’immobile.
Più in generale, è proprio la lettura della normativa alla luce della ratio sottesa a permettere di perimetrare efficacemente il concetto di casa familiare, assicurando coerenza al sistema.
La definizione originaria fornita all’espressione deve, pertanto, essere nuovamente precisata in ragione della funzionalizzazione dell’istituto: in tale prospettiva, la casa familiare rappresenta il centro degli interessi e delle consuetudini dei familiari; è l’habitat domestico nell’ambito del quale si svolge la loro vita13, fulcro degli affari, degli interessi e delle abitudini in cui si sviluppa la realtà familiare, da tutelare con particolare riguardo alla prole.
Sembra, di conseguenza, che l’art. 337 sexies c.c. non possa fare riferimento soltanto all’immobile in sé considerato. Pur in assenza di un’esplicitazione normativa in tal senso, la lettura della disposizione, in relazione allo scopo cui si indirizza, conduce a dare rilievo, altresì, ad arredo e pertinenze, quali elementi che, in concreto, permettono il godimento complessivo dell’abitazione a vantaggio della serenità della prole.
Nel 1989, tali conclusioni sono state condivise dalla Corte Costituzionale, secondo la quale nell’espressione in esame dovrebbero farsi rientrare tutti quei beni che permettono di assicurare ai figli continuità nella vita domestica in seguito alla separazione o al divorzio dei genitori14.
Nel circoscrivere correttamente il concetto di casa familiare assume un ruolo decisivo anche il fattore temporale.
Si tratta, a ben vedere, di un corollario delle valutazioni compiute in precedenza con riferimento alla ratio dell’istituto: se il concetto di casa familiare deve essere ricostruito secondo logiche funzionalizzate all’interesse della prole, è infatti assegnabile solo quell’immobile che, per ultimo prima della crisi matrimoniale15, sia stato il principale punto di riferimento per la famiglia.
Al contrario, l’abitazione priva del carattere dell’attualità non è significativa poiché la sua assegnazione al coniuge affidatario non garantisce ai figli quella stabilità nelle abitudini di vita che l’ordinamento tutela con l’art. 337 sexies c.c.
Pertanto, deve escludersi che possa ritenersi casa familiare l’immobile nel quale il coniuge sia andato a vivere solo in seguito alla crisi matrimoniale.Per le stesse ragioni, non assume rilievo ai fini della disciplina in esame l’abitazione che abbia cessato di rappresentare il centro degli interessi e delle consuetudini dei familiari in un momento antecedente alla separazione16.
Un’attuale puntualizzazione relativa alla nozione di casa familiare è stata fornita da una recente pronuncia della Suprema Corte, che ha affermato la necessaria effettività della destinazione a casa familiare; secondo la Corte17, infatti, la qualificazione giuridica di un immobile come casa familiare postula che la destinazione sia stata impressa dalle parti non solo in astratto, ma anche in concreto, mediante la loro convivenza nell’immobile.
L’assegnazione riguarderà solo quell’immobile che sostanzialmente sia stato adibito a centro della vita familiare nel periodo di tempo immediatamente precedente la crisi.
La destinazione dovrà, inoltre, apparire immediatamente riconoscibile guardando alla realtà delle cose, restando irrilevanti le intenzioni soggettive dei coniugi.
Specificamente, in relazione alla funzione dell’assegnazione, ai sensi dell’art. 337 sexies, comma I°, c.c., il godimento della casa familiare è attribuito dal Giudice tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli ed in ciò il d.lgs. n. 154 del 2013 ribadisce in sostanza l’orientamento della giurisprudenza dominante, con la conseguenza che deve escludersi l’ammissibilità dell’assegnazione a favore del coniuge economicamente più debole in tutte le ipotesi previste dall’art. 337 bis c.c.18.
La funzione dell’assegnazione della casa familiare pare pertanto essere quella di tenere la prole al riparo dal trauma che potrebbe investirla in seguito al forzato mutamento delle abitudini di vita precedentemente instaurate.
La ratio protettiva che sottende il testo della norma è perseguita tanto nei confronti dei figli minori, quanto di quelli maggiorenni non economicamente autosufficienti, in base all’assunto per cui non sarebbe possibile distinguere tra le due categorie sul piano del bisogno concreto di tutela19.
Entrambe le categorie, nella prospettiva del legislatore, individuano soggetti deboli potenzialmente suscettibili di subire un danno rilevante in seguito alla crisi matrimoniale.
Inquadrato l’obiettivo della norma, diviene chiaro perché l’assegnazione della casa familiare postuli l’affidamento al genitore assegnatario del figlio minore ovvero la convivenza con quello maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente.
A ben vedere, anzi, il presupposto è ciò che assicura la legittimità costituzionale ad una disciplina che, altrimenti, finirebbe con l’introdurre nell’ordinamento una intollerabile forma di espropriazione ai danni del genitore proprietario dell’immobile20.
Pertanto, l’art. 337 sexies c.c., chiarisce i rapporti esistenti tra diritto di proprietà e interesse alla salvaguardia dei figli, affermando la generale prevalenza del secondo sul primo.
Merita, però, doveroso approfondimento la locuzione “dell’assegnazione il Giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”.
Nell’interpretare tale assunto, appare assolutamente condivisibile l’orientamento, già invalso nel regime precedente, secondo cui la disposizione in esame comporta una riduzione del quantum dell’assegno di mantenimento di cui è titolare il genitore non proprietario dell’abitazione21.
Deve ribadirsi che tale disposizione si applica, altresì, nell’ipotesi in cui l’immobile sia di proprietà comune di entrambi i genitori ed anche quando il genitore non assegnatario sia titolare di un diritto reale di godimento sull’abitazione: si pensi all’usufrutto, anche congiuntivo, e alla proprietà superficiaria22.
La norma, invece, non si applica al caso in cui la casa sia detenuta a titolo di locazione, perché la situazione giuridica che sorge in capo al destinatario del provvedimento assegnativo deve qualificarsi, ex art. 6, comma II°, l. n. 392 del 1978, quale successione ex lege e determina un acquisto derivativo della qualità di parte in capo al genitore convivente con i figli, il quale diverrà il nuovo conduttore, acquisendo i diritti e gli obblighi pendenti in capo a quello originario, compreso il pagamento del canone di locazione.
La disposizione in esame si ritenga possa applicarsi anche all’ipotesi di casa familiare detenuta a titolo di comodato: l’opposta concezione, infatti, finirebbe per favorire doppiamente il coniuge affidatario dei figli. Quest’ultimo avrebbe diritto all’assegnazione, nonostante le ben note difficoltà teoriche alla sua ammissibilità, e, contemporaneamente, non subirebbe alcuna riduzione dell’assegno di mantenimento, con irragionevole e non giustificata differenza di trattamento rispetto ai casi sopra mentovati.
L’introduzione di una variabile che influisce sul quantum dell’assegno di mantenimento non interferisce, conviene ribadirlo, con la determinazione dell’an di tale attribuzione: è noto, infatti, che la funzione di tale assegno è, secondo consolidata giurisprudenza, esclusivamente assistenziale, ed è volta a permettere al coniuge che non abbia redditi adeguati propri (nel senso di cespiti patrimoniali) di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Ciò detto in relazione alla funzione dell’assegnazione della casa coniugale, prima di procedere alla disamina delle circostanze che ne legittimano la concessione nei procedimenti separativo/divorzili, occorre porre in essere una premessa, per così dire metodologica, che parta anche dall’esame dettagliato delle norme disciplinati l’argomento.
Orbene, l’art. 106, comma I°, lett. a) del d.lgs. n. 154 del 2013 prevede l’abrogazione dell’art. 155 quater c.c., il cui dispositivo è stato integralmente riprodotto nell’ambito dell’art. 337 sexies, comma I°, c.c., mentre l’art. 98, comma I°, lett. b) del decreto stesso non abroga l’art. 6, comma VI°, l. n. 898 del 1970 (L. div.), disposizione, quest’ultima, che contiene le norme sull’assegnazione della casa familiare nel divorzio.
L’art. 337 sexies c.c. si applica, però, in forza dell’art. 337 bis c.c., ai casi di “separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio”.
La metodologia in questione è la stessa che ha caratterizzato l’introduzione delle norme sull’affido condiviso (abrogate ex art. 106, comma I°, lett. a) d.lgs. 154 del 2013): infatti, è risaputo che l’art. 4, comma II°, l. 54 del 2006 prevedeva l’applicazione dell’art. 155 quater c.c. (oggi abrogato) anche al divorzio.
La questione è capire cosa si intende con l’affermare che le norme sull’assegnazione della casa si applicano anche all’assegnazione nel divorzio, tenuto conto che, solo relativamente al divorzio, a differenza degli altri indicati dall’art. 337 bis c.c., esiste già una disciplina tipica, non abrogata espressamente, vale a dire quella di cui all’art. 6, comma VI°, L. 898 del 1970.
Pertanto, si tratta di capire se si applichi integralmente la nuova disciplina, con conseguente abrogazione tacita della preesistente, oppure se entrambe possono essere compatibili.
Giova precisare come, con riguardo all’art. 4, comma II°, l. n. 54 del 2006, si sono contesi nel tempo due orientamenti23 e le medesime soluzioni si ritiene possano riproporsi nel commento dell’art. 337 bis c.c.
Da un lato, la c.d. tesi abrogazionista, la quale si articolava in due orientamenti: vi era chi propendeva per l’integrale abrogazione della disciplina preesistente (in particolare di quella divorzile24) e chi ipotizzava un’abrogazione tacita per incompatibilità tra le nuove e le precedenti disposizioni25.
Per contro, altra parte della dottrina sostiene che le disposizioni oggetto del rinvio non solo sopravvivevano alla nuova legge, ma con essa devono coordinarsi: questa è l’impostazione che sembra preferibile26.
2. Gettate le premesse, si può affrontare il tema delle disposizioni sulla trascrizione del provvedimento di assegnazione, sia provvisorio27, che definitivo.
Secondo l’art. 337 sexies, comma I°, ultima parte, c.c. “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.”.
L’art. 2643 c.c. contiene un’elencazione tassativa di atti soggetti a trascrizione, mentre il successivo art. 2644 c.c. prevede gli effetti riconducibili a tale formalità.
Per cui, stando al tenore letterale della norma, il provvedimento assegnativo deve oggi trascriversi ex art. 337 sexies, comma I°, ultima parte, c.c. – ed in ciò si fa salvo il principio della tipicità degli atti soggetti a trascrizione – con opponibilità ai terzi non già ai sensi dell’art. 2643 c.c., ma ex art. 2644 c.c., così presupponendosi la qualificazione del diritto che sorge in capo al destinatario del provvedimento quale situazione reale.
Tale interpretazione è, però, sospetta di incostituzionalità, se coordinata con l’art. 6, comma VI°, l. n. 898 del 1970, il quale prevede che l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile ai terzi, ai sensi dell’art. 1599 c.c., e, dunque, rinvia ad un regime speciale di trascrizione ai fini dell’opponibilità, ovvero quello della locazione.
Il richiamo all’art. 1599 c.c. sottintende la qualificazione della situazione che sorge in capo al destinatario del provvedimento assegnativo quale diritto personale di godimento. All’opposto, se si sottolinea l’inciso, contenuto nell’art. 6, comma VI°, L. div., “in quanto trascritta”, si deve, coerentemente, subordinare l’opponibilità ai terzi della regola della trascrizione in assoluto, come se tale diritto abitativo fosse reale28.
La questione descritta non è stata risolta neanche dalla Corte Costituzionale29, la quale, con sentenza interpretativa additiva, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’allora vigente art. 155, comma IV°, c.c., per contrasto con gli artt. 3, 29 e 31 Cost., nella parte in cui non prevedeva un meccanismo di opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione nell’ipotesi di separazione.
In tale sentenza, la Corte ha omesso, nel dispositivo e nella motivazione, il richiamo all’art. 1599 c.c., per l’ipotesi dell’opponibilità nella separazione.
Per ovviare a ciò, la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta con l’ordinanza n. 20 del 1990 (ordinanza di manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale), affermando che “appare chiaro … come l’onere di trascrivere il provvedimento di assegnazione nel caso di separazione, in analogia con la normativa vigente in tema di scioglimento del matrimonio, riguardi, ex art. 1699 c.c., la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando l’opponibilità del provvedimento in tutte le altre ipotesi”.
Poiché, però, un’ordinanza non può integrare sul piano del dispositivo una precedente sentenza interpretativa additiva, ne derivava un regime di trascrizione del provvedimento in analisi fortemente differenziato: per la separazione era vincolante la sentenza interpretativa additiva, che non richiamava l’art. 1599 c.c., per il divorzio, invece, non poteva non applicarsi l’art. 6, comma VI°, l. 898 del 1970, ove, invece, il riferimento all’art. 1599 c.c. era (ed è) testuale.
Sulla questione sono intervenute successivamente le Sezioni Unite, le quali si sono uniformate ad un regime unico ed unitario di trascrizione del provvedimento assegnativo, affermando che quest’ultimo, “avente per definizione data certa, è opponibile al terzo acquirente dell’immobile in data successiva, pur se il provvedimento de quo non sia stato trascritto per il novennio decorrente dall’assegnazione ed anche dopo il novennio ove il titolo sia stato trascritto in precedenza30”: è proprio questo l’orientamento ribadito dalla più recente giurisprudenza31.
Detto arresto giurisprudenziale, oramai costante, risponde anche alla questione relativa circa le conseguenze derivative dall’omessa pubblicità.
Il nuovo art. 337 sexies, comma I°, ultima parte, c.c., però, apre due diversi scenari: quello della trascrizione in assoluto, introdotto dalla norma da ultimo citata e applicabile ai casi di assegnazione nella separazione, nella nullità, nell’annullamento del matrimonio e nei procedimenti aventi ad oggetto i figli i cui genitori non sono coniugati (art. 337 bis c.c.) e quello speciale delle locazioni per il solo caso del divorzio (art. 6, comma VI°, l. 898 del 1970).
Al fine di superare tale ostacolo, occorre affermare che il nuovo art. 337 sexies, comma I°, ultima parte, c.c., intende l’art. 2643 c.c. come norma di rinvio e ciò allo scopo di individuare, in seno all’elenco tassativo ivi indicato, l’atto a cui riferirsi ai fini della trascrizione del provvedimento in esame32.
Tale atto, coerentemente con quanto previsto nell’ambito della legge divorzile, non può che essere quello di cui al n. 8: ne consegue che il provvedimento assegnativo è da ricomprendere, a pieno titolo, nell’ambito della previsione di cui all’art. 2643 n. 14 c.c., interpretato in rapporto al n. 8, che si coordina, a sua volta, con l’art. 1599 c.c.
L’assegnazione è, in sintesi, ancora oggi assimilabile quoad effectum, cioè ai soli fini circolatori, alla locazione ed il diritto che sorge in capo al destinatario del provvedimento è qualificabile quale situazione personale di godimento33.
In conclusione, la Corte di Cassazione insegna che la trascrizione dell’ordinanza del Presidente del Tribunale dei provvedimenti provvisori ed urgenti si può porre in essere con le stesse modalità con cui si pone in essere la trascrizione delle sentenze.
Per contro, autorevole dottrina34 sostiene che il richiamo, ovviamente in materia di trascrizione, sia all’art. 2645 c.c. e non già all’art. 337 sexies c.c.
Ad ogni buon conto, nulla quaestio sulla trascrivibilità dell’ordinanza emessa in sede di provvedimenti provvisori ed urgenti; sarà poi materialmente invocabile, per l’adempimento di cui si discute, quando ci si trovi dinanzi alla conservatoria, l’art. 337 sexies c.c. o l’art. 2645 c.c.
3. L’ipotesi prima di estinzione del diritto in questione è il venir meno della ragione sostanziale che ne aveva giustificato il suo riconoscimento, ossia il collocamento prevalente o l’affido esclusivo della prole in età minore al genitore assegnatario, ovvero la convivenza di questi con figli maggiorenni incolpevolmente non autosufficienti da un punto di vista economico.
Le ulteriori ipotesi codificate sono sostanzialmente riconducibili al venir meno dell’utilizzo dell’abitazione stessa, dismessa dal genitore assegnatario che si trasferisce in modo stabile in altro immobile, ovvero alteri radicalmente la destinazione dell’uso a favore della prole, contraendo nuove nozze, ovvero intraprendendo una convivenza more uxorio.
E’ doveroso precisare che la revoca dell’assegnazione non opera di diritto al verificarsi dei detti eventi, rimanendo subordinata alla verifica di conformità all’interesse dei figli; perciò, le vicende dell’assegnazione che segnano l’estinzione del diritto al godimento della casa familiare costituito a seguito del provvedimento di assegnazione, dipendono dal mutamento delle circostanze che l’avevano giustificata.
Come noto, però, nessun evento sopravvenuto opera in via diretta, necessitando dell’intervento giudiziale di modificazione e revisione, con una nuova valutazione della situazioni creatasi nei fatti.
D’altro canto, un provvedimento che segni l’estinzione in uso, adottato dal tribunale ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., risulta necessario non soltanto per la soluzione dell’eventuale controversia sulla questione, ma in relazione alle forme di pubblicità che garantiscono la compiuta opponibilità del vincolo sul bene immobile derivante dall’assegnazione, attraverso la sua trascrizione nei registri immobiliari: infatti, l’annotazione (ai sensi dell’art. 2655 c.c.) del provvedimento che accerti la sopravvenuta carenza dei presupposti dell’assegnazione, revocandola, vale a definire, nei confronti dei terzi, la situazione del bene; il dato normativo, del resto, prevede espressamente la trascrivibilità nei registri di pubblicità immobiliare, non solo del provvedimento di assegnazione, ma anche di “quello di revoca35”.
Da ultimo, giova precisare che la revoca del provvedimento di assegnazione in uso della casa familiare non si trascrive, ma si annota; logico corollario è che verrà posta in essere solamente la funzione di pubblicità notizia, e non già quella di opponibilità.
1. Avvocato del Foro di Macerata.
2. L’art. 337 sexies, comma I°, c.c. riproduce sostanzialmente il comma I° dell’art. 155 quater c.c., abrogato nel contesto del riordino della disciplina della filiazione dall’art. 106, comma I°, lett. a), del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. La norma recitava: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il Giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643”.
3. In questo senso, la disciplina si allinea alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176, che riconosce implicitamente tutela all’ambiente domestico in capo al minore agli artt. 8-11.
4. Nel perimetrare il concetto di indipendenza economica, la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che: “ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto di assegnazione della casa coniugale, il Giudice del merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari; tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, tenuto conto che il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni (purchè compatibili con le condizioni economiche dei genitori), com’è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione” (Cass., 20 agosto 2014, n. 18076, in Foro it., 2015, 1, c. 1021).
5. Cfr., tra le altre, Cass. 19 settembre 2005, n. 18476, in Giur. it., 2006, p. 2277.
6. Anche in assenza di una norma costituzionale espressamente dedicata al minore, la Carta fondamentale presenta, comunque, numerose disposizioni che la giurisprudenza interpreta come fondanti la necessità di garantire piena tutela. Il riferimento è, anzitutto, al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., che dovrebbe essere riferito anche – e soprattutto – ai minori, come categoria di soggetti deboli. L’art. 10 Cost., laddove richiede la conformità dell’ordinamento alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, permette l’ingresso nel sistema italiano delle disposizioni sovranazionali poste a tutela dei minori. Ancora, la protezione costituzionale del minore pare emergere dagli artt. 30 e 31 Cost., che fissano rispettivamente il compito dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, nonché l’obbligo per lo Stato di tutelare l’infanzia e la gioventù. In ultimo, l’art. 37 Cost. si occupa del lavoro minorile ed esige condizioni di lavoro che assicurino una protezione adeguata al minore. Sulla base delle norme richiamate, non sembra potersi dubitare che l’esigenza di tutelare il minore (e, nel contesto del diritto di famiglia, il giovane adulto non ancora economicamente autonomo) trovi un fondamento nella Costituzione. Ciò le permette di confrontarsi con il diritto di proprietà sancito dall’art. 42 Cost., risultando a certe condizioni prevalente.
7. Questo accade, per precisione, quando l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, inizi una convivenza more uxorio ovvero contragga nuovo matrimonio.
8. Cfr. Cass., 9 dicembre 1983, n. 7303, in Foro it., 1984, 1, c. 419.
9. Quanto al concetto di famiglia rilevante ai fini della disciplina, la Suprema Corte ha di recente fornito una sua interpretazione estensiva, ricomprendendovi anche la coppia di fatto: cfr. Cass., 11 settembre 2015, n. 17971.
10. In particolare, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che “l’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 155 quater c.c., rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita unicamente con riguardo a quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità e che comunque usassero in via temporanea o saltuaria” (Cass., 4 luglio 2011, n. 14553, in Fam. pers. succ., 2012, 10, p. 655).
11. Cass., 20 gennaio 2006, n. 1198.
12. L’art. 337 sexies c.c. è chiaro nel richiede al Giudice di valorizzare prevalentemente la tutela del benessere e della stabilità nelle abitudini di vita della prole.
13. Corte Cost., 13 maggio 1998, n. 166.
14. Corte Cost., 27 luglio 1989, n. 454.
15. Cass., 16 luglio 1992, n. 8667, in Giust. civ., 1992, 1, p. 3002.
16. Sul punto, Cass., 24 luglio 2012, n. 12977, in Foro it., 2013, 4, c. 1193.
17. Cass., 19 febbraio 2016, n. 3331.
18. L’art. 337 bis c.c. dispone che “in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo”.
19. Cass., 22 luglio 2015, n. 15367.
20. Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297.
21. G. FREZZA, Il nuovo art. 337 sexies c.c.: appunti e spunti, p. 4.
22. Per indicazioni di dottrina, G. FREZZA, I Luoghi della famiglia, Torino, 2004, p. 201 ss.
23. G. GIACOBBE, P. VIRGADAMO, Il matrimonio, II, Separazione personale e divorzio, in Tratt. dir. civ., diretto da R. SACCO, 3, Le persone e la famiglia, Torino, 2011, p. 133 ss.
24. E. ZANETTI VITALI, La separazione personale dei coniugi, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. SCHLESINGER, diretto da F.D. BUSNELLI, Milano, 2006, 58.
25. L. NAPOLITANO, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e di divorzio, Torino, 2006, 234.
26. G. FREZZA, Il nuovo art. 337 sexies c.c.: appunti e spunti, p. 2.
27. Ad esempio, l’ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale in seno ai provvedimenti provvisori ed urgenti.
28. G. GABRIELLI, I problemi dell’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2013, 131.
29. Corte Cost. 27 luglio 1989, n. 454.
30. Cass. sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096, a cui si è uniformata tutta la giurisprudenza successiva.
31. Cfr., sul punto, Cass., sez. II°, 24 gennaio 2018, n. 1744.
32. G. FREZZA, Il nuovo art. 337 sexies c.c.: appunti e spunti, p. 7.
33. Cfr., sul punto, Cass., sez. II°, 24 gennaio 2018, n. 1744.
34. La dottrina in questione è espressa dall’illustre pensiero di F. Gazzoni.
35. Cass., sez. I, 22 luglio 2015, n. 15367, con nota di G. Savi, Assegnazione della casa familiare e tutela del terzo acquirente, in Diritto e Processo, 2015, p. 453.