L’esercizio del potere del giudice ex art. 507 c.p.p. è legittimo anche in riferimento alla ammissione di testimoni indicati in liste testimoniali depositate tardivamente; difatti, il detto potere integrativo è funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo sviluppo processuale.

Ciò è quanto insegnato dall’arresto di Cass., sez. II penale, 13 novembre 2019, n° 46147, resa circa il caso di una signora condannata per truffa per avere ottenuto dalla persona offesa la somma complessiva di €. 72.600,00=, con artifici e raggiri consistiti nel millantare una mediazione funzionale al suo ricongiungimento con l’ex fidanzato.

Al fine di comprendere appieno la portata della mentovata pronuncia, giova rimembrare come l’art. 507 c.p.p. rappresenti una norma importantissima nel nostro ordinamento, siccome attribuente al giudice la facoltà di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, qualora risulti assolutamente necessario.

Detta disposizione, difatti, deroga al principio dispositivo sancito dall’art. 190 c.p.p. – in virtù del quale il diritto alla prova è prerogativa delle parti – attribuendo al giudice uno strumento per fronteggiare eventuali situazioni di incompletezza istruttoria.

Affinché l’organo giudicante possa ammettere d’ufficio nuove prove, occorre in primis che sia terminata l’acquisizione delle prove richieste dalle parti, nonché la lettura degli atti consentiti; in secundis, occorre che l’assunzione della nuova prova risulti “assolutamente necessaria”.

Entrambe le condizioni richieste dalla disposizione normativa in parola sono stati oggetto di una copiosa diatriba giurisprudenziale.

Ci si è interrogati sul fatto se, ai fini dell’attivazione dei poteri officiosi, sia necessaria un’attività probatoria delle parti. Il contrasto, determinatosi nella giurisprudenza di legittimità, è stato composto dalle Sezioni Unite, le quali hanno affermato il principio secondo cui il potere istruttorio del giudice dibattimentale può essere esercitato anche in rapporto a prove non tempestivamente dedotte dalle parti e anche quando sia mancata ogni altra acquisizione probatoria (Cass. pen., SS.UU., 6 novembre 1992).

Pertanto, l’espressione “terminata l’acquisizione delle prove” indicherebbe solamente il limite temporale decorso il quale il giudice può esercitare il potere di integrazione probatoria, e non il presupposto per l’esercizio del potere del giudice.

La giurisprudenza successiva alla pronuncia del Supremo Collegio si è sostanzialmente attenuta ai canoni interpretativi dallo stesso enunciati.

Presupposto indefettibile per l’attivazione da parte del giudice del potere di integrazione probatoria è l’assoluta necessità della prova da assumere. Anche su detto punto si è espressa la Corte di Cassazione stabilendo che il requisito dell’assoluta necessità è integrato quando il mezzo di prova risulti dagli atti del giudizio e la sua assunzione appaia decisiva (Cass. pen., SS.UU., 17.10.2006).

Nel caso offerto dalla pronuncia in commento, ed in particolare circa la censura di inammissibilità della lista testi depositata dalla persona offesa in data antecedente alla notifica della costituzione di parte civile, la Suprema Corte ha evidenziato come rientri nei poteri della costituenda parte civile indicare elementi di prova (ex art. 90 c.p.p.) e, pertanto, una volta formalizzata la costituzione, avvalersi del mezzo di prova proposto sia pur prima del completamento della procedura di costituzione, qualora per l’appunto questa avvenga prima dell’udienza e al di fuori di essa.

Rispetto alla connessa censura di nullità dell’ordinanza ammissiva della lista testi depositata tardivamente, il Supremo Collegio ha ribadito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui non è affetta da nullità l’ordinanza del giudice che ammetta d’ufficio la prova indicata nella lista depositata tardivamente; ha, per converso, escluso la rilevanza, nel caso sottoposto al suo esame, del precedente giurisprudenziale secondo cui l’ammissione della deposizione di un testimone indicato nella lista depositata oltre i termini prescritti dall’art. 468 c.p.p., è colpita dalla sanzione di inammissibilità della prova (Cass., Sez. III penale, n. 28371/2013), perché relativa ad un caso in cui, diversamente da quanto verificatosi in quello alla sua attenzione, il giudice non aveva provveduto ad emettere l’ordinanza integrativa ex art. 507 c.p.p.

Secondo la pronuncia in commento, l’attività di “recupero” dei testi indicati in liste depositate tardivamente attraverso il ricorso ai poteri integrativi previsti dall’art. 507 c.p.p. è legittima e trova la sua ratio nella necessità di valorizzare l’interesse pubblico all’accertamento di responsabilità penale, riconosciuto esplicitamente dall’art. 112 della Carta Costituzionale.

In quest’ottica, il potere del giudice di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., è funzionale alla completezza del compendio probatorio ove quello raccolto su proposta delle parti sia ritenuto insufficiente.

Ciò, in linea con la scelta di assegnare al giudice “una penetrante e diffusa funzione di controllo dell’esercizio dell’azione penale e del suo sviluppo nel corso della intera progressione processuale”.

La Corte ha quindi ribadito la legittimità dell’esercizio del potere di integrazione probatoria ex art. 507 c.p.p., anche se riferito alla ammissione di testimonianze indicate in liste depositate tardivamente: conseguentemente, ha ritenuto legittima l’ ordinanza di integrazione probatoria contestata nel ricorso assumendo che la Corte d’Appello de L’Aquila avesse disposto l’assunzione delle testimonianze indicate nella lista depositata tardivamente dalla costituenda parte civile facendo ricorso ai poteri conferiti dall’art. 507 c.p.p., in quanto ritenute all’evidenza tutte rilevanti ed utili per la decisione.
Sulla base delle mentovate argomentazioni, la Suprema Corte ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso.

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